Una (personale) questione privata
A cento anni dalla nascita di Beppe Fenoglio torno casualmente — e con immutato piacere — a leggerlo, e con l’occasione a rovistare in rete alla ricerca di qualche edizione d’epoca…
Mi sono innamorato della scrittura di Beppe Fenoglio (Alba, 1º marzo 1922 — Torino, 18 febbraio 1963) durante la discussione della tesi di laurea di un mio compagno di facoltà sul romanzo Una questione privata. Era il 2002. La lettura mi entusiasmò così tanto che l’anno dopo, mentre ero stagista presso le Ediciones Barataria di Barcellona, ne regalai una copia alla titolare della casa editrice invitandola a tradurlo e pubblicarlo, visto che in Spagna da tempo non era più disponibile. Lei lo fece (con il titolo Un asunto privado e la copertina progettata da me con un acquerello di Francesco Schirato) e fu un successo di vendite, tant’è che nel giro di poco pubblicò anche La paga del sabato.
A distanza di vent’anni, qualche settimana fa mio figlio mi chiede di aiutarlo a scegliere tre romanzi da leggere per l’estate. Tra i titoli della lista fornita dal professore di italiano c’è anche Una questione privata. Glielo racconto, la storia gli piace, aggiudicato. Lo cerco allora nella mia biblioteca ma niente, sparito. A farmi l’occhiolino dallo scaffale c’è però Il partigiano Johnny, acquistato anni fa e mai letto. C’è anche lui nella lista, ma non credo sia una lettura adatta a Giacomo: se l’ho abbandonata io quando avevo un’età e un bagaglio di conoscenze letterarie ben superiori alle sue, figuriamoci lui. Lo prendo comunque in mano e inizio a leggerlo: pagina 1, pagina 2, pagina 3… BOOM! Colpito e affondato, un’altra volta. Cose che capitano, per fortuna.
Nel frattempo devo decidermi su come rimpiazzare la copia perduta di Una questione privata e tra le varie opzioni sondo anche quella di un’edizione d’epoca, meglio se la ristampa della prima edizione: più economica ma sostanzialmente identica. L’operazione si rivela però più ardua del previsto in quanto la storia editoriale di Fenoglio non è delle più semplici. Essendo infatti morto giovanissimo (a 41 anni, nel 1963) le sue opere più importanti uscirono postume, a cura di amici o di editori un po’ frettolosi, e per di più come “pezzi” — resi autonomi — di un super-romanzo che nelle intenzioni dell’autore doveva abbracciare la vita militare e militante di un giovane di Alba, dal suo arruolamento nell’esercito come allievo ufficiale all’ingresso nei partigiani dopo l’8 settembre (che è la parte raccontata in Primavera di bellezza, uscito per Garzanti nel 1959) fino alla liberazione (e forse oltre, se consideriamo lavori come La paga del sabato), ma che non fu mai concluso, e di cui anzi sono rimaste diverse stesure. Inoltre, Una questione privata è un romanzo breve, destinato probabilmente a non essere mai pubblicato da solo, in volume, se Italo Calvino, introducendo la riedizione del 1964 del suo I sentieri dei nidi di ragno (Einaudi, 1947), non lo avesse consacrato come «il romanzo che tutti avevamo sognato», tessendone le lodi come un libro in cui «c’è la Resistenza proprio com’era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta» (anche se il PCI era e resterà di tutt’altra opinione…).
Non era quindi tra la selva delle edizioni “monografiche” del romanzo che si sono susseguite dopo l’endorsement di Calvino che dovevo cercare, ma in una miscellanea, e più precisamente nella raccolta di racconti Un giorno di fuoco pubblicata dall’editore Garzanti nell’aprile del 1963, quindi appena due mesi dopo la morte di Fenoglio. Fortuna ha voluto che una libreria antiquaria di Settimo Torinese avesse una copia in ottimo stato della prima ristampa (datata 2 settembre 1963) che ho comprato su Ebay per soli 20 euro. Un libro che ha ancor più valore perché il testo di questa edizione di Una questione privata si basa su una versione dattiloscritta — l’ultima delle tre note — andata perduta dopo la pubblicazione.
Non contento mi sono messo alla ricerca anche di un’edizione d’epoca del Partigiano Johnny. I più si chiederanno perché, visto che ne ho già una copia. Per una personale forma di bibliofilia in cui si fondono la mia formazione filologica con il mio lavoro di grafico editoriale: sicché quando un libro (specie un classico) mi interessa, mi piace l’idea di averlo nella versione testuale e nella veste grafica con cui per primo si è presentato al pubblico.
Ma nel caso del Partigiano Johnny la questione è resa ancora più interessante dal fatto che tutt’oggi si discute sulla versione che Fenoglio, se non fosse venuto a mancare prematuramente, avrebbe dato a quello che è considerato il più originale e antieroico romanzo italiano sulla Resistenza (con buona pace del PCI, e di quello che ne è rimasto). Di questo libro bisognerebbe quindi averne almeno tre edizioni, tutte uscite per Einaudi: la prima, del 1968, a cura di Lorenzo Mondo, amico dell’autore; la seconda, del 1978, a cura di Maria Corti; la terza, del 1992, a cura di Dante Isella (che è poi l’edizione attualmente in commercio).
Io per ora mi accontento (oltre che della mia “vecchia” edizione del 1994, con un bel saggio di Dante Isella sulla lingua del Partigiano Johnny) della seconda edizione, stampata il 24 agosto 1968 — ma «ristampa identica alla precedente del 1° giugno 1968», come precisa il colophon — acquistata per 35 euro, sempre su Ebay, da una libreria di Roma.
Un ultimo appunto sulla copertina del Partigiano Johnny. Per almeno quarant’anni l’edizione ufficiale (ovvero quella einaudiana) del romanzo ha riportato in copertina — con diversi tagli e soluzioni cromatiche — un acquerello del 1938 di Sonia Terk Delaunay che solo nell’edizione originale si capisce essere una carta da gioco, più precisamente un re di fiori. Sonia Terk aveva preso il cognome dal suo secondo marito, il pittore francese Robert Delaunay, dal quale prese anche la passione per la ricerca sul rapporto tra forma e colore, che applicò anche ad oggetti di uso comune come vestiti, scarpe e carte da gioco. Sembra quindi che il soggetto scelto per la copertina della prima edizione sia uno studio che anticipa di quasi 30 anni la serie completa di carte pubblicate dalla Terk Delaunay nel 1964, una replica della quale, datata 1980, è ancora disponibile online per l’acquisto.
Ma, da addetto ai lavori, la domanda che mi sono posto in questi giorni è: perché il re di fiori? Evidentemente chi all’epoca si occupava della scelta iconografica per Einaudi ne sapeva qualcosa di cartomanzia, in quanto il re di fiori pare essere portatore delle principali virtù: altruista, affidabile, sincero. Forse come Johnny? O come il partigiano-tipo? Difficile dirlo. Ad ogni modo, dopo il restyling della collana ET — Einaudi Tascabili operata da Studio 46xy agli inizio degli anni 2000 il problema non si pone più: mandato in pensione l’acquarello di Sonia Delaunay è arrivata una foto di Stefano Dionisi, attore che nel 2000 aveva dato la faccia al partigiano Johnny nell’omonimo film di Guido Chiesa. Una scelta discutibile, forse più dell’ufficio marketing della casa torinese che non dello studio grafico. Fortunatamente quest’anno, in occasione dei cento anni dalla nascita di Fenoglio, buona parte delle copertine dei suoi libri Einaudi sono state riviste dalla matita dell’illustratore e fumettista toscano Andrea Serio. E la tentazione, ora, di collezionarli è molta…